Nei comuni
Leva militare, ecco gli elenchi dei cittadini che potrebbero essere chiamati in caso di guerra
Manifesto di leva 2008: online gli elenchi, cosa significa l’iscrizione, il quadro giuridico e chi potrebbe essere chiamato
Guerra in Ucraina
Ogni Comune italiano mantiene elenchi di cittadini che, in caso di conflitto, potrebbero essere chiamati alle armi. La materia è disciplinata dalla Costituzione e da un corpus di norme specifiche. Non si tratta di convocazioni né di preavvisi di arruolamento, bensì della pubblicazione di un documento digitale:
i ragazzi nati nel 2008 sono stati ufficialmente inseriti nel “manifesto di leva militare”. Il documento riporta per ciascun interessato nome, cognome, luogo di nascita e il “numero iscrizione nella lista di leva”, includendo tutti i cittadini di sesso maschile che compiono 17 anni nel corso del 2025.
“In conformità al Codice dell’ordinamento militare (D.Lgs. 66/2010), l’elenco dei giovani nati nel 2008, soggetti all’iscrizione nelle liste di armi, è stato pubblicato sull’Albo Pretorio on-line di armi (...) Il servizio è rivolto ai cittadini soggetti all'obbligo della leva militare, in particolare ai nati nell'anno di riferimento, nonché agli interessati che intendano segnalare eventuali irregolarità o richiedere rettifiche”.
È quanto si legge in una comunicazione diffusa sui siti istituzionali di diversi Comuni italiani.
L’acuirsi delle tensioni internazionali – dalla guerra in Ucraina ai fronti mediorientali, fino alle dichiarazioni, spesso discordanti, dei leader globali – riporta al centro del dibattito la possibilità di un ripristino della leva in Italia. Sebbene sospesa dal 2005, in caso di conflitto o di grave crisi la Costituzione e il Codice dell’ordinamento militare prevedono ipotesi in cui l’obbligo potrebbe tornare in vigore.
Uno scenario realistico?
Ma quanto è realistico oggi uno scenario del genere? Le recenti prese di posizione restituiscono un quadro misto, tra rassicurazioni e allarmi. Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri, ritiene che «Vladimir Putin non vuole la terza guerra mondiale». Il segretario generale della Nato, Mark Rutte, invece avverte: «I missili ipersonici russi minacciano Roma». Lo stesso Putin accusa l’Europa – «I Paesi Nato sono in guerra con noi, addestrano Kiev» – e minaccia ritorsioni nucleari per gli attacchi ucraini nell’area di Zaporizhzhya, definendo «pericolose» le forniture di Tomahawk. Sul fronte mediorientale, il presidente Usa Donald Trump sostiene: «Bibi è d’accordo, basta bombe su Gaza per un piano di pace», ma la situazione resta bloccata.
Il quadro giuridico
Il quadro giuridico italiano è chiaro. L’articolo 11 della Costituzione afferma che «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», senza escludere tuttavia la legittima difesa. L’articolo 78 stabilisce che, in presenza di una minaccia esterna, le Camere possono deliberare lo stato di guerra, conferendo al Governo i poteri necessari. La chiamata alle armi è contemplata in due circostanze dal Codice dell’ordinamento militare (decreto legislativo n. 66 del 2010): in caso di dichiarazione di guerra deliberata dal Parlamento a seguito di un attacco al territorio nazionale o agli interessi vitali del Paese; oppure in presenza di una grave crisi internazionale.
Quando l'Italia entra in guerra
Nel contesto atlantico, l’Italia non agisce in isolamento. L’articolo 5 del Trattato Nord Atlantico prevede che un attacco armato contro uno Stato membro equivalga a un’aggressione contro tutti, impegnando gli alleati a fornire assistenza, anche con l’uso della forza. L’articolo 6 estende tale ambito agli attacchi contro forze, navi o aeromobili in Europa o nel Mediterraneo. La leva obbligatoria è sospesa dal 1° gennaio 2005 per i nati dopo il 1° gennaio 1986, sostituita da Forze armate professionali su base volontaria. La sospensione, però, non coincide con l’abolizione: il servizio può essere riattivato se necessario. L’articolo 52 della Costituzione afferma infatti che «la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino», rendendo possibile il ripristino in situazioni eccezionali.
Chi andrebbe in guerra
In caso di mobilitazione, l’ordine di chiamata segue una progressione definita. Per primi sono impiegati i militari in servizio: Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri e Guardia di Finanza. Se le esigenze operative lo richiedono, si procede al richiamo degli ex militari, in particolare dei volontari in ferma permanente congedati da meno di cinque anni. Solo qualora ciò non bastasse si passerebbe al reclutamento dei civili. La riattivazione della leva può essere disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, senza necessità di una nuova legge.
Chi sarebbe chiamato in guerra dopo i professionisti
Le liste di leva, in caso di guerra o crisi grave, comprendono i cittadini maschi tra i 17 e i 45 anni. Le donne, sebbene tradizionalmente non inserite in tali elenchi, potrebbero essere richiamate in via straordinaria, poiché la normativa non pone impedimenti all’arruolamento obbligatorio femminile in circostanze eccezionali.
La visita medica
Dopo la convocazione, è prevista una visita medica con tre possibili esiti: idoneo (arruolabile), rivedibile (temporaneamente non idoneo, con ulteriori accertamenti) o riformato (inidoneità permanente). Sono previste esenzioni per gravi motivi di salute e, per le donne, in caso di gravidanza. La chiamata alle armi è cogente: il rifiuto costituisce reato ai sensi dell’articolo 52; anche i congedati da meno di cinque anni devono rispondere al richiamo.