Assolto dopo dieci anni, l'infermiere dello Zen scagionato con formula piena: "Non ha commesso il fatto"
Una rissa scoppiata tra due famiglie nel 2015: per tutti era scattata la prescrizione tranne che per l'imputato sul quale pendeva la recidiva
Blitz allo Zen (Foto d'archivio)
Dopo dieci anni si chiude con un’assoluzione “per non avere commesso il fatto” la lunga vicenda giudiziaria di Giuseppe Di Masi, 59 anni. Tutto ebbe origine allo Zen, in via Rocky Marciano, dove una partita di calcio sfociò in una lite tra due nuclei familiari. Durante il parapiglia furono esplosi alcuni colpi di pistola e un bambino rimase ferito. Uno dei due gruppi indicò Di Masi come autore degli spari. L’uomo, infermiere al Civico, venne arrestato e seguirono perquisizioni alla ricerca dell’arma, mai rinvenuta. Il gip non convalidò il fermo.
Di Masi riferì di essere rientrato dal lavoro quando si era imbattuto nella rissa; vedendo un uomo armato, si sarebbe avventato su di lui, riuscendo a orientare la mano con la pistola verso l’alto e a deviare la traiettoria dei proiettili, scongiurando così una possibile tragedia. Quella versione fu ritenuta credibile. Poco dopo, lo stub — l’esame della polizia scientifica sui residui da sparo — risultò positivo sulla sua mano sinistra. Poiché Di Masi non è mancino, il dato fu considerato coerente con la ricostruzione difensiva.
Il procedimento, giunto solo ieri alla sentenza di primo grado, si è concluso con l’assoluzione piena pronunciata dalla presidente della quarta sezione, Maria Cristina Sala. Le contestazioni per rissa rivolte agli altri componenti dei gruppi familiari sono invece cadute in prescrizione. Su Di Masi gravava anche la recidiva, essendo stato coinvolto negli anni ’90 in una vicenda analoga, ma un fatto lontano nel tempo che non ha inciso sull’esito del giudizio.
Di Masi è stato difeso dagli avvocati Corrado Nicolaci e Mauro Torti.