Il cold case
Vecchio-Rovetta, la svolta 35 anni dopo il duplice omicidio: «Aldo Ercolano è stato il mandante»
I due manager delle Acciaierie Megara furono ammazzati il 31 ottobre 1990. La procura generale di Catania ha emesso l'avviso di conclusione delle indagini. Avviso di garanzia al killer di Pippo Fava. Ma ci sono anche 4 indagati per estorsione.
Un nome. Ma soprattutto una verità, anche se ancora tutta da dimostrare processualmente, è arrivata dopo 35 anni. Ed è proprio alla vigilia dell’anniversario dell’agguato mafioso in cui persero la vita Francesco Vecchio e Alessandro Rovetta che è stato notificato nel carcere di Oristano l’avviso di conclusione indagini ad Aldo Ercolano, figlio del defunto Pippo e nipote di Nitto Santapaola, nel ruolo di mandante del duplice omicidio.
L’ergastolano, in carcere per mafia e diversi delitti (fra cui quello del giornalista Pippo Fava del 5 gennaio 1984), è ritenuto «l’ideatore e l’organizzatore» - in concorso con altre persone rimaste senza volto - dell’assassinio dei due dirigenti delle Acciaierie Megara.
Vecchio e Rovetta, la sera del 31 ottobre 1990, furono investiti dai colpi di due revolver calibro 38 special in contrada Bicocca a Catania. Erano appena usciti dall’ufficio della Megara, alla zona industriale etnea, per rientrare a casa quando i killer affiancarono l’auto in cui i due manager viaggiavano e cominciarono a fare fuoco, fino a quando non si assicurarono che i due uomini fossero morti.
La svolta è arrivata dopo anni e anni di indagini, con richieste di archiviazioni sempre impugnate dai figli delle due vittime. Sono stati ascoltati decine e decine di collaboratori di giustizia: seguite piste che portavano a Palermo, verso gli Sciuto-Tigna e i Santapaola-Ercolano. Ed è dopo l’avocazione della procura generale di Catania all’ultima richiesta di archiviazione avanzata dai pm della Dda che l’inchiesta ha subito un’accelerazione che ha portato dritto ad Aldo Ercolano, figlio dei cugini Grazia Santapaola e Pippo Ercolano.
L’inchiesta, coordinata dai sostituti procuratori generali Nicolò Marino e Giovannella Scaminaci e dal procuratore generale Carmelo Zuccaro, è stata condotta dal Nucleo di Polizia Giudiziaria Interforze e dalla Dia di Catania.
Qualche mese fa sono scattate anche delle perquisizioni a Messina a casa dell’ottantaquattrenne Enzo Vinciullo, l’uomo già citato - come emerge dall’imponente dossier Grande Oriente nato dalle dichiarazioni del confidente Luigi Ilardo - nei pizzini di Bernardo Provenzano. Ed è proprio Vinciullo l’uomo chiave del movente: i due dirigenti della Megara sarebbero stati uccisi perché non si piegarono. Dissero no al pagamento del pizzo.
«Ercolano avrebbe agito con l’aggravante dei motivi abbietti e futili, per garantire il predomino nel territorio catanese e i vantaggi economici alla famiglia catanese di Cosa Nostra, ma anche di assicurarsi il profitto dell’estorsione che poi è partita da gennaio 1991», c’è scritto nell’avviso firmato dai sostituti pg Marino e Scaminaci e vistato dal Procuratore Generale Zuccaro. E infatti il provvedimento di chiusura delle indagini preliminari è stato notificato ad altri quattro indagati oltre Ercolano, che quindi è accusato del duplice omicidio e anche di estorsione. Che poi sarebbe il movente del delitto secondo la ricostruzione degli investigatori.
Nella contestazione dell’estorsione c’è un altro pezzo da novanta della mafia catanese dei vecchi tempi, Antonio Alfio Motta. Risultano indagati anche Francesco Tusa con il suocero Leonardo Greco (esponente della mafia di Bagheria). Ercolano, con il padre defunto Pippo, avrebbe avuto il ruolo di mandante della tangente mafiosa. Greco, invece, di organizzatore. Gli esattori sarebbero stati Tusa e Motta. Vinciullo, che all’epoca era agente di commercio delle Acciaierie Megara, sarebbe stato il “negoziatore” fra i vertici del colosso, che dopo il duplice omicidio è passato sotto il controllo della società bresciana Alfa Acciai di Amato Stabiumi ed Ettore Lonati, e Cosa nostra catanese, nissena e palermitana. Ma andiamo alla ricostruzione della procura generale, che è sintetizzata nell’avviso di garanzia.
Ercolano, Vinciullo, Tusa, Greco e Motta avrebbero agito in concorso con i defunti Bernardo Provenzano, Pippo Ercolano, Nicolò Greco, Lucio Tusa e Luigi Ilardo (nel 1990 non era ancora infiltrato in Cosa Nostra per conto dello Stato: quella collaborazione lo portò ad essere ucciso nel 1996). Gli indagati, che avrebbero telefonato più volte in forma anonima chiedendo soldi ai manager della Megara e posizionato dei proiettili sul sedile di un dirigente - mentre altri furono trovati nel giardino della moglie di Rovetta - alla fine avrebbero costretto i vertici di Alfa Acciai di Brescia (indicati come parti offese) a versare dal 1991 in più tranche la somma di un miliardo delle vecchie lire a Cosa nostra siciliana. Vecchio e Rovetta, insomma, sarebbero stati uccisi su ordine di Ercolano perché ebbero il coraggio di non piegarsi.
Ora gli indagati potranno chiedere di essere interrogati o presentare memorie difensive. E poi sarà spiccata una richiesta di rinvio a giudizio.
Questo per i familiari sarà un anniversario con ancora più fame di giustizia.

