MAFIA
Delitto Mattarella, quando l'ex prefetto ai domiciliari disse: «Del guanto scomparso informai Bruno Contrada»
Nelle carte dell'indagine della procura di Palermo sul depistaggio a proposito dell'assassinio del presidente della Regione, spunta di nuovo il nome dell'ex numero due del Sisde
Piersanti Mattarella
Nell'inchiesta per il depistaggio delle indagini sull'uccisione di Piersanti Mattarella, che questa mattina ha portato all'arresto ai domiciliari dell'ex prefetto Filippo Piritore, spunta il nome di Bruno Contrada, ex numero due del Sisde condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Contrada sarebbe coinvolto nella storia del guanto che uno dei killer di Piersanti Mattarella dimenticò nell’auto usata per la fuga dal luogo del delitto e poi scomparso nel nulla, anche - secondo i pm - per colpa di Piritore.
Contrada, lo accerta una sentenza ormai passata in giudicato, nell’anno del delitto Mattarella, su cui il funzionario di polizia indagò sia come capo della Squadra mobile che come capo della Criminalpol, aveva rapporti con la mafia di Michele Greco e Totò Riina. Per cui - è la tesi dell’accusa - mentre si occupava dell’inchiesta sull'assassinio, intratteneva relazioni riservate con i boss.
L’ex numero due del Sisde, sostengono ancora i magistrati, era sul luogo del delitto per partecipare alle indagini e, il 6 gennaio 1980, insieme all’ufficiale dei carabinieri Antonio Subranni e all’allora pm Pietro Grasso, acquisì informazioni sia dalla vedova di Mattarella, Irma Chiazzese, che dal figlio Bernardo, entrambi presenti all’omicidio.
Lo stesso Piritore ammette di aver informato del guanto Contrada. «Avvisai subito il dirigente della Mobile, nella persona di Contrada, che evidentemente mi disse di avvisare il dottor Grasso e di mandare i reperti alla Scientifica», ha detto ai pm l’indagato. Contrada e Piritore, infine, secondo i magistrati, erano amici e si frequentavano anche oltre il lavoro.
Le sentenze sull'omicidio di Piersanti Mattarella
Per l’omicidio dell’ex presidente della Regione Piersanti Mattarella, ucciso il 6 gennaio del 1980 a Palermo, sono stati condannati con sentenza definitiva i componenti della commissione provinciale di Cosa nostra dell’epoca come Salvatore Riina, Michele Greco e Francesco Madonia, mentre vennero assolti gli ex Nar Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini accusati di essere gli esecutori materiali del delitto.
Sul movente dell’assassinio la Corte d’Assise ritenne che Mattarella da presidente della Regione aveva intrapreso una «politica di rinnovamento, resa ancor più incisiva per i poteri di controllo che lo stesso aveva come presidente e che, per primo nella storia della Regione, aveva esercitato anche nei confronti del Comune». Il riferimento era agli appalti e alla contrapposizione dell’ex presidente al sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, al cui rientro nel partito Mattarella si era fermamente opposto.
Il processo ha accertato che tra le cause dell’omicidio di Piersanti Mattarella inoltre c'era l’azione di profondo rinnovamento che la vittima esercitava tentando di spezzare il legame fra Cosa nostra e certa politica. Nel 2017 l’inchiesta sul delitto venne riaperta concentrandosi sugli eventuali legami tra l’omicidio e le attività dell’eversione nera neofascista e dei Nar, i Nuclei armati rivoluzionari. Ma al momento gli accertamenti - in particolari quelli tecnici - non hanno portato a sviluppi significativi.
Recentemente infine i pm hanno iscritto nel registro degli indagati per il delitto, come esecutori materiali, i boss Nino Madonia e Giuseppe Lucchese. Nell’ambito di quest’ultima tranche d’indagine è in corso un incidente probatorio sulle impronte trovate sulla Fiat 127 usata dai killer.
