L'intervista
L'ammiraglio Sergio Liardo da Catania al Comando generale della Guardia Costiera: «Il mare va rispettato»
Una laurea in Scienze geologiche per poi scegliere di solcare il mare. L’attitudine per la fisica, il fascino delle capitanerie di porto, il mare, la terra, i cieli e l’Etna sullo sfondo
Una laurea in Scienze geologiche per poi scegliere di solcare il mare. L’attitudine per la fisica, il fascino delle Capitanerie di Porto, il mare, la terra, i cieli e l’Etna sullo sfondo. L’ammiraglio Sergio Liardo, catanese doc, dal 24 settembre comandante generale del Corpo delle Capitanerie di Porto - Guardia Costiera si racconta a La Sicilia ospite del nostro quotidiano. Ad accompagnarlo il capitano di vascello Roberto D’Arrigo, capo ufficio comunicazione e il tenente di vascello Francesco De Giglio, aiutante di bandiera del comandante generale.
«Mio padre voleva che studiassi giurisprudenza - dice Liardo - e siccome a quel tempo c’era un contrasto classico con i genitori, ho preso una cosa con la “g” e ho studiato geologia (sorride). In realtà ero molto portato per la fisica, ma negli anni Ottanta chi si laureava in fisica non aveva le possibilità che ha adesso, tendenzialmente avrebbe fatto il docente. Scoprii che quello della capitaneria era un mondo che mi appassionava e soprattutto che a seguito della legge sulla difesa del Mare del 1982 c’era bisogno di laureati in ambito scientifico. C’era la possibilità di entrare a lavorare nelle capitanerie. Sono andato per mare, ma ho anche preso il brevetto da pilota e ho fatto rilevamento ambientale, che è esattamente quello che in qualche maniera interessa anche la geologia. Faccio un lavoro bellissimo, del quale non mi sono mai pentito».
Qual è il suo rapporto con Catania? «È una città alla alla quale sono legatissimo, ma non so se tornerei a vivere qua. È come quando sei innamorato della tua prima fidanzatina e torni a vivere con lei, ma la trovi in una maniera completamente diversa».
E poi c’è l’Etna... «Me la porto sempre dietro. Ai tempi dell’università andavamo in quota a cambiare le batterie ai sismografi e facevamo delle bellissime fotografie. Una lunga storia legata alla Protezione Civile. Tempi in cui era necessario dare una risposta importante, cosa che facciamo ancora adesso con i nostri elicotteri quando c’è un’emergenza sullo Stromboli piuttosto che sulla stessa Etna».
È il primo comandante generale pilota, il primo catanese e il terzo siciliano al comando generale... «Scherzando dico a tutti che praticamente l’ultimo comandante generale siciliano aveva comandato Tobruch e Tripoli, quindi insomma è passato un po’ di tempo. Sono orgoglioso di essere il primo catanese, ma soprattutto il primo pilota, è un segnale di grandissimo cambiamento. Tendenzialmente tutti i colleghi che mi hanno preceduto venivano da un’esperienza nella Marina Militare o da un ruolo amministrativo. In passato c’era un preconcetto: l’idea che fare una scelta operativa non ti avrebbe mai dato la possibilità di scalare le posizioni e di arrivare al vertice. Non è solo una soddisfazione personale, ma condivisa con i colleghi che in qualche modo mi hanno seguito».
La divisa è ancora attrattiva? «È venuta un po’ meno, drammaticamente, per due ordini di ragioni. Intanto, perché oggi i nostri ragazzi hanno tante possibilità. E poi perché la nostra è una vita un po’ complicata, con la certezza del posto fisso, ma le incertezze dei costanti trasferimenti».
È specializzato in attività Sar (search and rescue). Correva l’anno 2018, era il tempo della Diciotti. Cos’è cambiato? «Ero a capo del reparto piano operazioni. Da allora è cambiato lo scenario, ma le norme sono rimaste esattamente le stesse. Avevamo lo specifico obbligo di rispondere anche fuori da quella che era un’area di responsabilità italiana perché non c’era alcuno che lo avrebbe fatto. Oggi abbiamo, invece, l’obbligo di comunicare - a chi ha una responsabilità -l’evento Sar. Siamo statisticamente nelle condizioni di poter dire che nel tempo abbiamo coordinato soccorsi e salvato circa un milione e 800mila persone. Il fenomeno migratorio è ormai un fatto strutturato. La Nigeria, che è una delle realtà più particolari dell’Africa, sarà la bomba demografica del 2050. Probabilmente noi dobbiamo, in qualche maniera, essere pronti».
La sicurezza in mare passa anche dai controlli sotto costa e dalla filiera ittica… «Il mare va rispettato. Stiamo molto lavorando sulla prevenzione. Cioè sul far comprendere quanto un atteggiamento scriteriato diventi pericoloso per se stessi e per gli altri».
Il vostro motto è Omnia Vincit Animus...«La tradizione è fondamentale, però dobbiamo anche essere bravi a farci conoscere, a farci apprezzare dagli altri. A comunicare. Per assurdo siamo molto più conosciuti all’estero che in Italia, molto più apprezzati. Guardare al futuro parlare ai giovani».