il libro
"Non uccidere", Viola Di Grado racconta la violenza delle parole
La scrittrice catanese firma “Questo mondo non è casa” nella collana ispirata ai 10 comandamenti. Il 14 ottobre la presentazione a Catania

Si può uccidere con le parole, con la sopraffazione, con la narrazione. Uccidere il femminile, tracciando un percorso scritto da altri, interpretato solo dall’ottica maschile. La scrittrice catanese Viola Di Grado sceglie il quinto comandamento, “non uccidere”, per raccontare il delitto perpetrato dalle parole nel libro “Questo mondo non è casa”, parte della serie “Dieci comandamenti” raccontati da dieci grandi scrittrici, edita da Rizzoli.
Nel volume, breve e intensissimo, che si legge d’un fiato, catturati dalla magmatica scrittura - ogni parola è una stilettata - la scrittrice ribalta ruoli e convenzioni, cammina sul filo dell’ambiguità e dei colpi di scena. Cesella l'ennesima storia al limite. Il romanzo è il diario dello psicanalista Guido Pacher, autore di un libro sulla solitudine delle donne, per lui “evidente come la forma del naso o un eczema sulla guancia”, in cui racconta l’incontro con una misteriosa paziente, Linda Lago. L’autrice lo presenterà alla libreria Mondadori di piazza Roma a Catania il 14 ottobre, alle 17.30, modera Giuseppe Raniolo.
Perché ha scelto proprio “non uccidere”? «Sono convinta che viviamo tempi estremi e ho scelto il comandamento più estremo per usarlo come mezzo di indagine della realtà - spiega - Nel mio libro “Bambini di ferro” avevo parlato di una profezia delle scritture buddiste, un’ultima era in cui gli esseri umani sarebbero stati così senz’anima che non ci sarebbe stato più nulla di buono nel mondo. Ci sarebbero state guerre e atroci spargimenti di sangue e la natura stessa avrebbe rispecchiato quest’orrore. Ed è quello che stiamo vivendo, tra guerre e disastro climatico, è tutto così urgente, così violento, così sulla soglia dell’apocalisse da farmi scegliere “non uccidere”».
Nel romanzo quest’ordine si declina in tante direzioni. «La prima è in senso letterale, l’omicidio. Poi, c’è il tema delle parole usate per fare violenza sull’altro, le parole degli uomini che interpretano il femminile, che si appropriano della narrazione delle donne. Viviamo nella violenza delle parole», sottolinea. Un potere che, secondo la scrittrice, esercita spesso la psicoanalisi, «uno strumento che può fare molto bene ma può essere utilizzato nel male. La psicanalisi è in grado di instillare narrazioni che non esistono e si è nutrita di patriarcato. Il personaggio del libro lo utilizza così, per accalappiare Linda nelle sue parole, per livellare le donne, perché per lui diventano tutte uguali, per predarle».
Pacher è luci e ombre. «Mi interessano le sfumature. E’ un uomo narcisista, pieno di sé, maschilista però è anche colto, intelligente. E’ raro incontrare il lupo cattivo, siamo circondati da persone che si propongono con la loro intelligenza. Ma il suo comportamento è patriarcale, predatorio. La donna è lì perché è a sua disposizione. Mi colpiscono di più uomini così, perché hanno gli strumenti per cambiare, ma applicano la stessa violenza».
La violenza contro le donne, a parole e nei fatti, è cronaca quotidiana. «L’Italia è indietrissimo su questi temi, il femminicidio è la punta dell’iceberg, poi ci sono tutte le altre manifestazioni piccole e medie di sopraffazione femminile. Molte persone non se ne rendono neanche conto: se sei immerso in una realtà dai molte cose per scontate. C’è una violenza nascosta nel linguaggio, l’Italia fa fatica a estinguere questa narrazione». Come possono le donne fuggire da questo mondo che non è “casa” per loro? «Bisogna essere più consapevoli, vivendo in queste narrazioni non ci si accorge. A tutte è successo di capire solo dopo le violenze più sottili».
Una violenza che nel libro si allarga al mondo animale. «Annamaria Ortese ha detto: “io non mi sento parte della razza umana, io sto con gli animali”. E per me è uguale. Sto con gli animali perché sono gli ultimi, non hanno voce e la nostra cultura continua a essere fondata sul loro sistematico massacro».
Dal premiato debutto con “Settanta acrilico trenta lana” Viola Di Grado esplora con ferocia ironica i nostri lati oscuri. «La scrittura? Per me è tutto, è la mia presenza nel mondo. E' sperimentazione, soprattutto adesso che ci sono le intelligenze artificiali. Mi interessa che sia un liguaggio deviante, con il mio sguardo. L'unica arma contro l'appiattimento sulle Ia». L'intelligenza artificiale cambierà la letteratura. «La letteratura stava comunque morendo - replica la scrittrice - l’Ia sta solo accelerando il processo. La letteratura non ha più il ruolo di un tempo, non c’è più desiderio di letteratura. Chi legge non cerca l'arte, la complessità, ma l’immedisimazione. Come nei reel: segni gli account che rispecchiano la tua esperienza. Non si cercano l’alterità, la scoperta, la trascendenza, ma il rispecchiamento. E' tutto narcisistico, cerchi sempre te stesso".