rapporto svimez
La Sicilia nel 2050: 859mila persone in meno, superata da Piemonte ed Emilia. Per ogni occupato due persone da mantenere
Il report dell'Agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno delinea il quadro demografico tra 25 anni. L'isola perderà il 18% della popolazione, con conseguente squilibrio sociale
Nei prossimi 25 anni la Sicilia perderà 859mila persone. Tra saldo naturale e saldo migratorio, l'isola nel 2050 avrà il 18 per cento di abitanti in meno. Sorpassata da Piemonte ed Emilia Romagna. Ma soprattutto con una composizione demografica completamente squilibrata tra anziani e giovani. È lo scenario che traccia la Svimez, l'Agenzia per lo sviluppo del mezzogiorno, nel suo ultimo report del 2025.
«Le proiezioni al 2050 - si legge - delineano un’Italia con meno abitanti e un profilo demografico più fragile, ma con traiettorie territoriali differenziate». La popolazione complessiva si ridurrà di circa 4,6 milioni di persone. E sarà il Mezzogiorno a vedere il calo più drastico. Quasi il 77% di questa contrazione si concentrerà nelle Regioni del Sud, che perderanno intorno a 3,5 milioni di residenti. «Alla base dello spopolamento meridionale - continua Svimez - vi è soprattutto la caduta della natalità: dalle 131mila nascite registrate nel 2024 si scenderebbe a meno di 100mila nel 2050, complice il forte ridimensionamento della popolazione femminile in età feconda. In assenza di flussi migratori significativi, la conseguenza sarebbe una perdita del 18% della popolazione attuale».
È in questo contesto che si inserisce la parabola della Sicilia. Nel 2024 i residenti sull'isola erano 4 milioni 797mila. Nel 2050 scenderanno a 3 milioni 938mila, il 18 per cento in meno, in linea con la disastrosa media di tutto il Meridione. La Sicilia perderà 859mila abitanti, di cui 796mila per saldo naturale (perché le nascite non compensano le morti) e 63mila per saldo migratorio (chi si trasferisce sull'isola non compensa minimamente chi sceglie di andarsene). Il Piemonte e l'Emilia Romagna, che attualmente contano meno residenti rispetto all'isola, scavalcheranno la Sicilia nella classifica delle Regioni più popolose.
Un dato in particolare - l'IDSE, l’indice di sostenibilità economica - spiega quanto squilibrato sarà il rapporto tra popolazione attiva e occupata (dai 15 ai 65 anni) e quella non attiva. In Sicilia si passerà dall’attuale 122% al 184% nel 2050: cioè per ogni persona che lavora ci saranno quasi due persone da mantenere. «L’indice - spiega l'Agenzia - evidenzia l’esistenza di uno squilibrio a svantaggio della popolazione attiva, che dovrebbe accentuarsi nel corso del prossimo quarto di secolo».
Guardando all'intero Mezzogiorno, entro il 2050 la popolazione sotto i 15 anni diminuirà di 772mila unità (-31,1%), quella in età lavorativa si ridurrà di 4,1 milioni (-31,8%), mentre gli over 65 aumenteranno di 1,3 milioni (+27,4%). Se il numero delle famiglie, a livello nazionale, sarà lievemente superiore a quello odierno (da 26,5 milioni del 2024 si passerà a 26,8 milioni del 2050, +1%), il Meridione sarà l’unica macro-regione destinata a registrare una diminuzione. Si passerà da 8,5 milioni di famiglie del 2024 a 7,9 milioni nel 2050 (–6,6%). «La riduzione è trainata dal crollo delle coppie con figli, che passerebbero da 2,7 a 1,8 milioni (–32,8%), una contrazione nettamente superiore a quella osservata a livello nazionale». La struttura familiare sarà inoltre sempre più sbilanciata verso nuclei piccoli: cresceranno le famiglie unipersonali (+7%, da 2,9 a 3 milioni) e i monogenitori (+9%). Di conseguenza, diminuirà la dimensione media dei nuclei: da 2,32 componenti nel 2024 a 2,06 nel 2050..
In sintesi, «il Centro entra in una fase di ridimensionamento, il Nord limita le perdite grazie ai flussi migratori interni e dall’estero ma invecchia rapidamente, il Mezzogiorno affronta uno svuotamento demografico che mette a rischio la tenuta sociale ed economica dei territori, in particolare nelle aree interne».
In questo contesto, Svimez sottolinea che l’immigrazione straniera assume «un’importanza fondamentale», perché «contribuisce a riequilibrare i saldi e può apportare capitale umano utile all’innovazione e alla produttività». Ma da sola non basta. «Per contrastare il gelo demografico servono politiche di lungo periodo che agiscano su natalità, welfare familiare, servizi per l’infanzia, conciliazione vita-lavoro, sostegni ai redditi e alla genitorialità, sulla permanenza e il rientro dei giovani qualificati, e su percorsi rapidi e inclusivi di integrazione per le nuove famiglie straniere. Senza un cambio di passo - conclude l'Agenzia per lo sviluppo del Mezzogiorno - la recessione demografica e l’ampliamento del divario Nord-Sud rischiano di comprimere crescita, coesione e prospettive di sviluppo del Paese».
