×

Guerra del greggio: il blocco totale delle petroliere venezuelane accende un nuovo fronte tra Washington, Caracas e Pechino

L’annuncio di Donald Trump scuote i mercati e riallinea gli schieramenti globali: il blocco delle petroliere “sanzionate” in entrata e in uscita dal Venezuela riporta il petrolio al centro della geopolitica. E la Cina osserva da vicino

Redazione La Sicilia

17 Dicembre 2025, 11:12

11:38

Guerra del greggio: il blocco totale delle petroliere venezuelane accende un nuovo fronte tra Washington, Caracas e Pechino

La scena è questa: nel primo pomeriggio del 16 dicembre 2025, mentre Wall Street soppesa dati macro incerti, Donald Trump scrive il messaggio destinato a ribaltare le agende di mezzo mondo: “ORDINO UN BLOCCO TOTALE E COMPLETO DI TUTTE LE PETROLIERE SANZIONATE CHE ENTRANO O ESCONO DAL VENEZUELA”. In pochi minuti, i desk delle sale operative a Londra e New York ricalcolano i rischi sulla supply chain energetica. Il Brent riparte, il WTI strappa al rialzo. Nei corridoi di Pdvsa, a Caracas, si incrociano telefoni caldi e contratti sospesi; a Pechino, le società di trading fanno i conti con assicurazioni, “war clauses” e rotte alternative. E le quotazioni del greggio, fiaccate nelle settimane precedenti, si rimettono in moto.

Che cosa ha annunciato Trump, nel dettaglio

Il presidente Trump ha ordinato un blocco navale mirato: stop a tutte le petroliere già sottoposte a sanzioni che entrano o escono dal Venezuela. Non è, formalmente, un embargo generale su ogni nave, ma un dispositivo che colpisce la cosiddetta “shadow fleet” che muove barili scontati verso hub asiatici e, soprattutto, verso la Cina.

Il provvedimento si inserisce in una più ampia strategia di pressione sul governo di Nicolás Maduro: nelle stesse ore Washington ha irrigidito la postura militare nel Caribe, dopo il sequestro del tanker Skipper e una serie di operazioni contro traffici illeciti.

La Casa Bianca ha inoltre evocato la definizione del Venezuela come entità legata al terrorismo, scelta che ha sollevato dubbi giuridici e proteste internazionali sulla sua base legale e sulla compatibilità con il diritto del mare e la libertà di navigazione.

Perché la mossa pesa: nascita di un “collo di bottiglia” selettivo

Il Venezuela non è un fornitore qualunque. Detiene circa il 17% delle riserve mondiali di petrolio: oltre 300 miliardi di barili, perlopiù greggio extra‑pesante dell’Orinoco Belt, che richiede diluizione, upgrading e una logistica complessa. Il paese pompa oggi intorno a 0,9–1,0 milioni di barili/giorno (stime 2025), ben sotto i massimi storici, ma con un flusso export che nel corso del 2025 ha oscillato intorno a 750–900 mila barili/giorno. La gran parte di questi barili — tra il 70% e il 90% a seconda dei mesi e dei canali di spedizione — finisce in Cina, direttamente o tramite trans‑shipment e triangolazioni. Qui si gioca la leva del blocco: impedire o ostacolare l’uso della flotta sanzionata che consente a Pdvsa di collocare greggio a forte sconto rispetto al Brent.

I mercati reagiscono subito: petrolio in rialzo e volatilità in agguato

Nelle ore successive all’annuncio, le quotazioni segnano un rimbalzo: il Brent avanza di circa +1,5‑1,8% e il WTI di circa +1,7‑2,0%, con prezzi tornati nell’area di 59–60 dollari (Brent) e 55–56 dollari (WTI).

La dinamica è tipica di un “risk premium” geopolitico: i volumi venezuelani non sono oggi sistemici come quelli di Arabia Saudita o Russia, ma il blocco selettivo sulle navi sanzionate crea un’incertezza immediata su tempi di consegna, assicurabilità dei carichi, freight rates e sconti richiesti dagli acquirenti.ù

Gli analisti avvertono: se l’interdizione si prolungasse o si allargasse, potrebbe sottrarre al mercato fino a 0,6–1,0 milioni di barili/giorno tra ritardi, carichi bloccati e rinunce di armatori, con un impatto potenziale di diversi dollari al barile sull’orizzonte di breve periodo.

Che cosa cambia per Caracas

Il modello di cassa di Pdvsa si regge su esportazioni vendute a forte discount. Dopo il sequestro dello Skipper, i differenziali sul Merey per la Cina si sono ampliati fino a oltre -20 dollari rispetto al Brent, anche per via dei premi di rischio chiesti dagli armatori e delle clausole di forza maggiore/war risk.

Le fonti industriali segnalano carichi in attesa nei terminal, navi “stuck” e pressioni degli acquirenti per rinegoziare contratti spot. Nel frattempo, Pdvsa ha fronteggiato anche problemi operativi (inclusi attacchi informatici recente memoria) che hanno complicato fatturazione e spedizioni.

La finestra americana era già semi‑chiusa: Chevron, unico operatore occidentale con licenza per esportare barili venezuelani verso gli Stati Uniti, ha visto la cornice regolatoria restringersi nel 2025; il blocco alle petroliere sanzionate isola ulteriormente i flussi extra‑licenza.

Il canale cinese: perché è la variabile critica

La Cina è diventata il primo acquirente del greggio venezuelano. I barili arrivano nelle raffinerie indipendenti, spesso tramite intermediari e blend che mascherano l’origine, operando in un’area grigia della compliance internazionale.

Per Pechino, il petrolio di Caracas è un fattore di diversificazione a costo contenuto. Ma l’innalzamento del rischio — tra blocco navale, sequestri e possibili sanzioni secondarie — può ridurre la convenienza: se la “shadow fleet” è costretta a deviare rotte, cambiare bandiera o fermarsi in floating storage, i tempi si allungano e lo sconto dovrà aumentare ancora.

La diplomazia cinese ha già criticato le misure unilaterali di Washington e difeso i principi di sovranità e libertà di commercio, ma per le società di trading il punto non è politico: è assicurabilità dei carichi e gestione del rischio legale.

Legalità, diritto del mare, e la linea sottile tra sanzioni e atto di guerra

Definire un blocco navale, anche se circoscritto alle navi “sanzionate”, apre questioni di diritto internazionale: la libertà di navigazione non consente interdizioni arbitrarie in acque internazionali senza un chiaro mandato ONU o un quadro legale condiviso.

La designazione del Venezuela in ambiti afferenti al terrorismo complica la materia, perché fornisce alla Casa Bianca una giustificazione politica ma non scioglie i nodi giuridici. Parlamentari di entrambi gli schieramenti negli USA chiedono trasparenza su regole d’ingaggio e limiti dell’operazione.

Per gli armatori e i P&I Club, il confine è pragmatico: se cresce il rischio di sequestro o di operazioni militari nelle aree di transito, salgono i premi assicurativi, si ritirano le coperture e si riduce l’offerta di navi disponibili.

Domino sulle rotte: che cosa succede alla “shadow fleet”

Negli ultimi anni, il greggio sanzionato (non solo venezuelano) ha viaggiato su una flotta ombra fatta di navi vetuste, passaggi di proprietà opachi, bandiere di comodo, sistemi AIS oscurati e ship‑to‑ship in rada. Il blocco colpisce esattamente questo ecosistema logistico.

Se il dispositivo americano renderà più pericolosi i trasbordi e gli scali, gli operatori dovranno spingersi su rotte più lunghe, con giorni‑nave aggiuntivi, noli in aumento e carichi che perdono valore via via che il discount necessario per attirare compratori cresce.

Il risultato, nel breve, è un rialzo della volatilità e una frammentazione ulteriore del mercato fisico tra barili “compliant” e barili “ad alta frizione”.

Il paradosso venezuelano: riserve enormi, entrate ridotte

Con oltre 303 miliardi di barili provati, il Venezuela primeggia nelle statistiche globali. Ma le sue risorse sono in gran parte extra‑pesanti: più costose da estrarre, da diluire e da trasportare.

Anni di sanzioni, crollo degli investimenti, manutenzioni rinviate e fuga di competenze hanno eroso la capacità produttiva. Nel 2025 la produzione si è mossa attorno a 1 milione b/g, con picchi temporanei e rapide ricadute.

Il “discount di sistema” applicato dai compratori — spesso raffinerie indipendenti asiatiche — è diventato la principale leva commerciale di Pdvsa: barili venduti molto sotto il Brent in cambio di liquidità immediata e rischi caricati su armatori e broker.

Effetti fuori dall’asse Washington‑Caracas

Per la Cina, che importa un’enorme quota del proprio fabbisogno dal Medio Oriente ma ha ampliato gli acquisti “opportunistici” da Venezuela, Iran e Russia, il blocco è un fastidio costoso: non mette in discussione la sicurezza energetica nazionale, ma impone sconti maggiori o la ricerca di barili alternativi.

Per l’Europa, l’impatto diretto è contenuto, ma non nullo: se i barili pesanti scontati si rarefanno in Asia, i flussi Medio Oriente–Europa potrebbero riorientarsi con premi più alti; inoltre, i noli sulle rotte atlantiche risentono della domanda extra di tonnellaggio.

Per i raffinatori nel Golfo degli Stati Uniti, già colpiti dall’altalena di licenze e deroghe su Chevron e Pdvsa, la variabile è la disponibilità di feedstock heavy-sour: se mancano sostituti a prezzi competitivi, si comprimono i margini o si ritarano i mix di greggi.