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Il commento

La fine gemella delle Kessler, la sorte comune e discreta

Morire è l’unica scelta che possiamo rivendicare a noi stessi. Quella porta Alice ed Ellen l’hanno aperta insieme. Senza rumore senza proclami senza retorica

18 Novembre 2025, 10:51

12:15

La fine gemella delle Kessler, la sorte comune  e discreta

Nascere. Comune sorte degli esseri umani che, insanguati ignari  innocenti  inconsapevoli, pur nascono. Oltre ogni volontà nascono. Dal buio d’una caverna di carne sconosciuta, la madre, a uno sconosciuto mondo, ovunque esso sia. Una landa un villaggio una metropoli. Un Continente o un altro,  una geografia o un’altra, un Paese o un altro non fa differenza.

Nascere è alea, fatalità, tyche. Nascere è l’arbitrio d’un altro, la voluntas d’un altro, l’indifferenza d’un altro, il capriccio o solo la solitudine d’un altro, il genitore. Non ha voce in capitolo chi nasce, solo chi muore ce l’ha. Progettando la sua morte come un’opera d’Arte a lungo  meditata premeditata concepita eseguita come il Capolavoro d’una Vita. 

In un paese della Sassonia nascono, un giorno di piena estate (20 agosto 1936), una a pochi minuti dall’altra, Alice ed Ellen Kessler. Nascere è la prima grande sfida, gli anni della seconda guerra mondiale,  il dopoguerra, il lutto di due fratelli morti,  il lutto d’un padre vivo che pesta a sangue la moglie,  il lutto di una madre che soccombe a un marito violento, ai suoi lividi, un padrone che la bastona come un rozzo massaro bastona la sua mula.

La famiglia solo una galera da cui evadere prima possibile, senza soldi senza meta, solo con un fardello di sogni cui non rinunciare mai, un vademecum di cosa non fare mai nella vita, di quali verbi cancellare dal dizionario dell’Esistenza, subìre obbedire rinunciare. Sono appena due ragazzine diciassettenni quando arrivano a Parigi, quasi un allunaggio,  che le stordisce le fortifica le spaventa ma in due si può si può. In due meglio che essere una.  Il “duale” è  la colonna sonora della loro vita, un duale che non è mai immedesimazione rinuncia.  La personalità di ognuna rimane singolare non duale. Se il corpo di Ellen è indistinguibile dal corpo di Alice,  il dna vi ha segnato le sue irremovibili leggi, è il karaktèr ad affrancarle da ogni legge di genetica.

Già a sei anni in tutù, danzano insieme le gemelle, sono una squadra, un fortilizio a difesa di capisaldi irrinunciabili, libertà autonomia indipendenza. Rigorose nella vita come in palcoscenico le Kessler non fanno concessioni non accettano sottomissioni. Conquistano l’Europa, conquistano Italia e italiani, bionde alte glaucòpidi e dal  carattere ferreo,  stabiliscono nei Varietà del sabato sera quel che, in filologia classica,  si chiama terminus ante quem e post quem, cioè  il prima e il dopo le gemelle. Una straordinaria variatio del costume di un popolo assai più e oltre che una variatio della fisicità e di un costume di scena.

A differenza che nel Mito, Ellen non prevale su Alice, nessuna delle due è ossimorica all’altra,  come invece Antigone e Ismene, le sventurate figlie di Edipo re. Antigone, la forza, Ismene, la debilità.

Le danzatrici Kessler si impongono con la schiettezza d’una personalità ben definita e irrinunciabile. Sono grandi professioniste ma anche grandi donne. Hanno contegno rigore e un’etica di comportamenti insuperabile persino per Pippo Baudo che non esitarono a freddare con una battuta lapidaria - «ormai non ci sta con la testa» - quando il nostro indimenticabile Pippo oltrepassò, sia pure con spirito goliardico, la soglia di quell’etica: «Mi portarono in albergo ubriaco e mi spogliarono».

A un passo dai novant’anni vanno via le ragazze Kessler ma il loro mondo, quello del grande Varietà, dei grandi maestri d’orchestra come Gorni Kramer, ha da tempo ceduto il passo a spettacoli di nessun valore, affidati a improvvisatori da fiere paesane  più che a professionisti.

Ognuna aveva un suo appartamento separato dall’altro della gemella solo da una porta che ne stabiliva limite e limiti. Bastava solo un giro di maniglia per essere una nel territorio dell’altra, dove sono l’arredamento sarà stato diverso, la tappezzeria, i tendaggi, mobili, i quadri alle pareti.

 Diversa solo l’apparenza, i colori, le fogge, le forme.  Diversi solo il visibile l’esposto il tangibile la forma la materia il perimetro di una stanza o d’un’altra. Ma identico l’invisibile, il celato, quel che ognuna delle due ragazze custodiva per sé come una reliquia da tutta la vita perché ineffabile, dunque indicibile, perché non c’era nessun bisogno di dire pronunciare promettere giurare. Al momento giusto una delle due avrebbe aperto quella porta, fatto muovere quella maniglia. Perché se nascere è la scelta di un altro, morire è l’unica scelta che possiamo rivendicare a noi stessi quando, per avventura o Tyche, si sia  scampati alla Morte, alle Parche agli Inferi. Quella porta Alice ed Ellen l’anno aperta insieme. Senza rumore senza proclami senza retorica. Con naturalezza. Come la luce del giorno quando sa che è tempo di cedere alla maestà della Luna.