È un enigma lungo oltre trent’anni quello della scomparsa a Roma del magistrato Paolo Adinolfi, tornato oggi al centro dell’attenzione con i nuovi scavi alla Casa del Jazz. Il consigliere della Corte d’Appello di Roma, 53 anni, svanì il 2 luglio 1994. Nel tempo si sono affastellate ipotesi di ogni tipo: un malore, un’amnesia, un sequestro legato ai fascicoli trattati da giudice fallimentare, fino ai possibili intrecci con la banda della Magliana e con “servizi segreti deviati”.
Le prime ore dopo la scomparsa
L’Ansa seguì la vicenda sin dalle prime ore, come attestano i lanci d’agenzia custoditi negli archivi. Alle 15.45 del 3 luglio 1994, il giorno dopo la scomparsa, il primo dispaccio segnalava, dopo la denuncia presentata dai familiari e l’avvio delle indagini della Squadra Mobile di Roma:
«Dalle 11 di ieri mattina si sono perse a Roma le tracce del magistrato Paolo Adinolfi», consigliere «della corte di appello della capitale», dove era stato «trasferito da 20 giorni». L’auto del magistrato, «una BMW, è stata ritrovata nei pressi del Villaggio Olimpico».
Nelle successive note della giornata si precisava che Adinolfi «non avrebbe problemi né familiari né professionali. Nella sua attività si è sempre occupato di questioni di natura civilistica».
Adinolfi aveva lavorato per anni al tribunale civile della Capitale nella sezione Fallimentare, dove si era occupato di molte aziende anche di livello nazionale, e poi alla seconda sezione. Quando scomparve si era trasferito da circa venti giorni alla Corte d’Appello della Capitale.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, nelle indagini svolte, quella mattina Adinolfi si recò nella biblioteca del Tribunale Civile di Roma e lì raggiunse lo sportello bancario interno alla struttura per effettuare il trasferimento di un conto corrente nell’agenzia allora presente in Appello a via Varisco. Poi verso le 11 si era recato ad un ufficio postale nella zona del Villaggio Olimpico - dopo essere passato in ufficio a piazzale Clodio - da dove aveva spedito un vaglia da 500 mila lire alla moglie.
Da lì il giudice sarebbe salito - secondo alcune testimonianze- a bordo di un bus per raggiungere l'abitazione della madre nel quartiere Parioli. In quello stabile, nella cassetta postale, furono poi rinvenute le chiavi di casa e della sua automobile. Su cosa sia accaduto dopo gli elementi sono discordanti. Alcuni testi riferirono di averlo incontrato su un altro bus che dai Parioli portava in direzione della stazione Termini e nell’area sud della Capitale.
Indiscrezioni e segnalazioni senza esito
Venivano inoltre riportate alcune «indiscrezioni» secondo cui, prima di sparire, il magistrato si sarebbe incontrato con «un amico, forse un avvocato, con il quale avrebbe anche parlato, su un autobus». Si aggiungeva che «avrebbe lasciato due mazzi di chiavi, quelle di casa e quelle dell’auto, nella cassetta della posta della madre, ai Parioli».
Nei giorni immediatamente successivi le segnalazioni di presunti avvistamenti si moltiplicarono senza esito. «Sono ormai almeno una decina, una media di due-tre al giorno – spiega la polizia l’8 luglio – le telefonate che arrivano al 113 di persone che assicurano di aver visto Adinolfi ma tutte si sono rivelate negative».
Il trasferimento dell’inchiesta a Perugia
Il 12 luglio 1994 un altro lancio riferiva il trasferimento dell’inchiesta alla procura di Perugia, competente ad indagare in tutti i casi in cui sono coinvolti magistrati romani. Un filone investigativo che, nei 31 anni successivi, è sempre approdato all’archiviazione.
L’area oggi interessata dagli scavi coincide con quella già esaminata, nella seconda metà degli anni Novanta, su disposizione della Procura di Perugia. All’epoca fu incaricato anche un geologo, ma non emerse alcuna traccia del magistrato. Al momento, secondo quanto risulta, gli uffici perugini non hanno fascicoli aperti sulla scomparsa; tutte le attività svolte in Umbria si sono concluse con provvedimenti di archiviazione.
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Le indagini a Perugia
Nel 1996 confluirono a Perugia anche le dichiarazioni di un faccendiere siciliano, secondo il quale Adinolfi sarebbe stato ucciso «da uomini della banda della Magliana» perché in procinto di riferire al pm milanese Carlo Nocerino, titolare dell’indagine sul fallimento di «Ambra assicurazione», «cose importanti» sui legami tra ambienti «deviati del servizio civile» e società di comodo impegnate «nella compravendita di immobili».
Il racconto richiamava informazioni che l’uomo avrebbe appreso dal colonnello del Sismi Mario Ferraro, trovato impiccato nel bagno della propria abitazione, e da un suo collaboratore, e citava l’area in cui sorgeva la casa di Enrico Nicoletti, storico cassiere della banda. Anche quelle ricerche non portarono risultati.
I nuovi scavi alla Casa del Jazz
Ora si scava di nuovo proprio lì, dopo la segnalazione dell’esistenza di un tunnel sotterraneo, «tombato» trent’anni fa, nel quale si ipotizza possano trovarsi i resti del giudice scomparso nel ’94. Le operazioni riguardano il terreno adiacente alla villa un tempo appartenuta a Enrico Nicoletti e riprenderanno domani mattina, in attesa di ulteriori mezzi – in particolare ruspe – per ampliare l’area di scavo.
Sul posto operano carabinieri, polizia e guardia di finanza. L’intervento è stato disposto in sede di Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, presieduto dal prefetto Lamberto Giannini. L’ingresso principale della Casa del Jazz resta, al momento, chiuso.
