Il reportage
«Vi racconto chi era mio fratello Totò Schillaci»
Viaggio a Palermo nei luoghi in cui è cresciuto il campione di Italia 90 che oggi avrebbe compiuto 61 anni: "Campione dall'animo buono"
La foto iconica di Totò Schillaci durante le notti magiche di Italia 90
«Vi racconto mio fratello Totò Schillaci». Nelle ore in cui il campione di Italia 90 avrebbe festeggiato il compleanno, a fare rivivere gesti sportivi e soprattutto l’umanità che lo rendeva campione due volte ci hanno pensato Giovanni e Giuseppe Schillaci fratelli dell’ex centravanti del Messina, della Juve, della Nazionale, amato come un divo anche in Giappone. Durante i colloqui con Giuseppe, Giovanni, con Rosalia, fratelli del campione, al centro sportivo Totò Schillaci - a Passo di Rigano - abbiamo anche incrociato gli occhi emozionati del papà Mimmo.
La famiglia Schillaci accoglie centinaia di ragazzini laddove Totò aveva realizzato - con l’Accademy Corona - il suo sogno: far giocare a pallone i ragazzini. «Si metteva a sedere su una panca in ufficio dove da lì visionava il campo e tutti i ragazzi - ricorda Giovanni - Si rivedeva in loro. E quando qualche genitore confessava che il figlio non poteva portarlo perché non aveva soldi, Totò lo guardava con quell’espressione che tutti conoscete: “Ma che fai scherzi? Portalo lo stesso, “u picciriddu”, mica possiamo negargli la gioia di giocare a pallone. E per i soldi, non ti preoccupare, ci penso io”. Comprava scarpette per chi non poteva permetterselo, pagava la retta dei più deboli. E non voleva che di dicesse in giro» racconta Giovanni Schillaci mentre attorno frotte di bambini entrano sui campi per gare o allenamenti.
Quali sensazioni restano a distanza di poco più di un anno dalla sua scomparsa?
«I messaggi di solidarietà portati dalla gente di tutt’Italia e oltre. Persone che noi famigliari neanche conosciamo; i murales; la camera ardente e in cattedrale; l’affetto delle scolaresche e dei ragazzi della scuola calcio. Ancora oggi ci incontrano anche sconosciuti per raccontarci storie di Totò».
C’è una coppia che l’ha commossa più di altri nel giorno del funerale.
«Sono venuti due signori anziani in chiesa. Lei con la borsetta dell’ossigeno, lui con la sedia a rotelle. Volevano esserci nonostante gli acciacchi. Quella presenza mi commuove anche adesso».
A due passi dal centro sportivo c’è il murales realizzato sul palazzo di otto piani. Ed è la seconda realizzazione dopo quella completata al Cep, a due passi dalle zone in cui suo fratello ha tirato i primi calci al pallone.
«Si trascorreva giorno e notte in piazzetta. Lui e nostro fratello Giuseppe hanno infranto tanti vetri e ammaccato le carrozzerie di tante auto. Ma eravamo felici, è stata un’infanzia senza sfarzo ma con il pallone tra i piedi. E nessuno di noi famigliari rinnega quei momenti».
Dalla piazzetta all’Amat, al Messina, poi la Juve e Italia 90. Com’è cambiata la vita di suo fratello?
«Lui è rimasto sempre lo stesso, è cambiato tutto il ciò che lo circondava».
Com’è stato il rientro a casa dopo il Mondiale?
«Caotico, piacevolmente caotico. C’erano almeno mille persone che avevano bloccato la piazzetta e l’ingresso della casa. A un certo punto è sceso dalla macchina per sfuggire alla calca incredibile e s’è infilato dentro una moto ape. Che ridere. Era fatto così».
Famoso a livello mondiale, amato anche dal pubblico della tv.
«Allude al programma “L’isola dei famosi”? La sua semplicità, il modo di discutere senza fronzoli è stato sempre il suo punto di forza. Che ridere quando, tornando, abbiamo ricordato con i fratelli e i famigliari quella volta in cui Kabir Bedi gli disse in diretta: “Totò vieni accanto a me così parlo un po’ più di italiano”. E lui: “Chiami proprio me che mi esprimo in dialetto”. Ecco questa era la sua spontaneità».
Cosa prova quando passa davanti ai due murales?
«Quello di Italia 90 è stato realizzato grazie alla fondazione Federico 2° e il Palermo calcio che costruirà dei campetti, proprio a 100 metri da casa mia. Diciamo che ogni volta che passo … saluto mio fratello. Si rinnovano affetto, dolore per la perdita. Ma quando ci sarà questo campetto sotto la sua gigantografia, la speranza della nostra famiglia è che possano nascere tanti nuovi Totò. Se non bravi, quanto meno sinceri e onesti come lui. Il murales a Passo di Rigano è stato realizzato grazie ai ragazzi di “Made in Sicily”».
Rivede qualche gol del recente passato?
«Quello di Verona in acrobazia. Nulla da togliere alle sforbiciate di CR7. Il pallone dall’alto l’ha colpito con un coefficiente di difficoltà elevato».
Un gol azzurro?
«Quello realizzato ai Mondiali di sinistro contro l’Uruguay».
Totò a Palermo tra la gente: com’era il rapporto con i suoi tifosi?
«Sempre limpido, sincero. Si fermava anche per ore, ma parlava con tutti, accontentava tutti».
Mai perdeva la pazienza?
«Sì, c’era una cosa che gli dava fastidio. Quando passavano ragazzi senza casco e sulle moto con le marmitte rumorose. Era il suo tallone d’Achille».
BACKSTAGE. Il papà di Totò, Mimmo, si commuove dietro il bancone del bar del centro sportivo. «Sto qui tra i ragazzi. In ognuno di loro rivedo mio figlio che comincia a giocare a pallone. Quest’atmosfera mi tiene vivo». Giuseppe, l’altro fratello del campione, fa la spola tra Palermo e Catania per lavoro: «La Sicilia deve essere unita più che mai». Totò c’è riuscito con la sua semplicità, con il suo essere divo alla portata di tutti.